Questi capelli di Djaimilia Pereira de Almeida (2015)

Un’accattivante sinossi che non lascia presagire l’ostico flusso di coscienza

Nell’introduzione, l’autrice accenna al viaggio in Brasile di un certo Lévi-Strauss e solo grazie a Google e Wikipedia ho scoperto che Claude Lévi-Strauss è stato un antropologo francese che tra il 1935 e il 1938 si è dedicato allo studio di alcune popolazioni indigene brasiliane.

Questi capelli cover

L’incomprensibile citazione “Ah! La Francia! Anatole, Anatole!” è tratta da Tristi tropici del suddetto Lévi-Strauss. Grazie ancora, Google, per dissipare le tenebre dell’ignoranza in cui la signora Djaimilia ha ben pensato di lasciare quei lettori che non condividono il suo stesso bagaglio di conoscenze!

Leggendo la pagina dell’opera di Lévi-Strauss da cui sono state estrapolate le poche enigmatiche parole menzionate, si scopre che durante la sua permanenza in Brasile, l’antropologo era stato oggetto di ammirazione in quanto connazionale di Anatole France.

Di nuovo Google, di nuovo Wikipedia. Anatole France è stato uno scrittore francese, vincitore del Premio Nobel per la letteratura nel 1921, ma ben presto caduto nell’oblio dopo la sua morte.

Ma vi sembra normale dover compiere tutte queste ricerche per tentare di decifrare un’unica pagina di un memoir/romanzo postcoloniale in cui l’autrice dovrebbe parlare delle proprie origini miste portoghesi e angolane e del razzismo di cui è stata vittima a causa dei suoi capelli crespi?

Cara Djaimilia, meno egocentrismo, meno elitismo, please. Più fatti, più azione e meno sfoggio di criptiche elucubrazioni filosofeggianti fini a se stesse. La narrazione ne gioverebbe assai.

Dopo l’introduzione, ovviamente sono passata al primo capitolo e, bisognosa anche qui di alcune delucidazioni, mi sono imbattuta su Google in un estratto della versione in inglese del libro, molto più esplicativa di quella in italiano. Trattandosi in entrambi i casi di traduzioni, come è possibile che mi sia risultata più ostica quella nella mia lingua madre? Mi sorge il dubbio che la traduzione in inglese sia di qualità superiore. Mi sono pentita di aver acquistato il libro in italiano, ma a questo punto non mi resta che tentare di decifrare quanto ho tra le mani.

L’infermiere caposala Castro Pinto è il nonno nero di Djaimilia. La nonna nera, invece, si chiama Maria da Luz.

Castro Pinto, in Portogallo, lavora come addetto alle pulizie fino al giorno della sua morte. Era nato in Angola, figlio di un pescatore albino con i capelli biondi.

Castro arriva in Portogallo nel 1984 per fare curare uno dei suoi figli, nato con una gamba più corta dell’altra, in un ospedale di Lisbona. Dieci anni dopo, lo raggiungono anche la moglie e altri figli.

Nonna Lúcia e nonno Manuel sono invece i nonni paterni di Mila (Djaimilia). Il padre di nonna Lúcia era un commerciante portoghese nell’odierna Kinshasa, capitale della Repubblica Democratica del Congo. La moglie diede alla luce Lúcia e altri due bambini, ma morì di tubercolosi alcuni anni dopo. Rimasto vedovo, il commerciante mandò i suoi figli in Portogallo, dove vennero cresciuti da due cugine della defunta consorte. Il fratello di Lúcia diventò vescovo, mentre sia lei che sua sorella diventarono professoresse.

All’età di diciannove anni, Lúcia sposa l’ingegnere Manuel e la coppia emigra in Mozambico, dove Manuel avrebbe lavorato alla costruzione di dighe per conto di una compagnia idroelettrica.

La maggior parte dei figli della coppia nasce in Mozambico, poi la famiglia si trasferisce a Luanda, in Angola, e qui ricompare il bisnonno commerciante di Mila che bussa alla porta di Lúcia. È tornato per morire.

Ad un certo punto, l’autrice accenna al problema delle palme portoghesi infestate dal Rhynchophorus ferrugineus: “I coleotteri sono volati dalla Polinesia e dall’Asia orientale fino all’Europa meridionale e hanno devastato le palme dall’Algarve fino a Lisbona. Mi chiedo quanto sarà durato il volo.”

Innocente creatura! Crede che il punteruolo rosso della palma abbia attraversato mezzo mondo volando! La vera causa della sua rapida diffusione è il commercio internazionale di palme!

Nonna Maria, resa paralitica da una trombosi, trascorre le sue giornate in casa, uscendo solo per la funzione domenicale, accompagnata in auto dai suoi confratelli della congregazione dei Testimoni di Geova.

All’età di tre anni, Mila arriva in Portogallo dall’Angola, dove è nata nel 1982. I suoi genitori si sono conosciuti a Luanda alla fine degli anni Settanta. I nonni paterni Lúcia e Manuel, al contrario di tanti connazionali, sono tornati in Portogallo solo da pensionati e non dopo l’indipendenza dell’Angola avvenuta nel 1975.

In famiglia, Mila è l’unica della sua generazione a essere stata battezzata. Una delle sue bisnonne, la madre di suo nonno Manuel, era invece un’ebrea figlia unica di un medico vedovo. La bisnonna suonava il piano, parlava francese e sposò un ufficiale dell’esercito di più umili origini.

L’autrice, nel suo albero genealogico vanta persino una trisavola di Macao, sposata con un colonnello di stanza nella colonia e da cui ha ereditato gli occhi a mandorla della sua infanzia.

Il padre di Mila aveva i capelli biondi e nonna Lúcia neri.

Il giudaismo di nonno Manuel viene messo a tacere dalla Seconda Guerra Mondiale, ma soprattutto dal cattolicesimo di nonna Lúcia, i cui figli sono però tutti atei. Mila riceve il battesimo quando ha già undici anni. Abita con i nonni paterni e vede sua madre, che vive in Angola, solo durante le vacanze. Suo padre, invece, negli anni Novanta sposa una portoghese.

Mila, da adulta, ha un marito e lavora in un ufficio.

Djaimilia spende tante parole per i nonni, sia paterni che materni, e ben poche per i suoi genitori. Troppi interrogativi restano aperti. Perché il padre e la madre di Mila si separano? Che lavoro fanno? E la stessa Mila? Perché sua madre resta a vivere in Angola nonostante abbia figlia, genitori, fratelli e nipoti in Portogallo? In che circostanze il padre conosce la donna che sposa negli anni Novanta? Perché Mila viene cresciuta da nonna Lúcia e nonno Manuel? E chi è il misterioso marito?

Questi capelli è una lettura faticosa e che non invoglia a voltare pagina. Djaimilia si abbandona a un’inarrestabile flusso di coscienza, dando vita a un caotico guazzabuglio di luoghi, tempi, temi e persone. Un fritto misto, un minestrone, di tutto un po’ nel calderone, per non parlare della sfilza di marche di fama non certo mondiale che contribuisce ad appesantire il testo, zavorrandolo in una specificità spazio-temporale e impedendogli così di anelare al sommo valore letterario dell’universale.

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