La Matriarca di G.B. Stern (1924)

Ah, la gloriosa epoca dei giveaway! Sono trascorsi ben nove anni da quando ho vinto una copia del romanzo più famoso di G.B. Stern, gentilmente offerto dalla casa editrice Sonzogno che lo ha proposto per la prima volta in Italia. Era il 2014 ed io l’ho messo in valigia nel 2023. Sarò sincera: a casa non trovavo mai il tempo per leggerlo.

La matriarca cover

Non sapevo nemmeno chi fosse G.B. Stern, dal nome credevo si trattasse di un uomo. Come? Sono solo iniziali puntate? Lo so, ma in casi del genere io immagino sempre di default un individuo di sesso maschile. Perché mai non presentarsi con il proprio nome completo? L’ambiguo G.B. Stern nasconde Gladys Bronwyn Stern (1890-1973) nata in realtà Gladys Bertha Stern.

Pare che G.B. Stern fosse un’autrice ben nota nella Londra degli anni Venti e Trenta del Ventesimo secolo, ma a quarant’anni dalla sua morte non si trovava più nessuna delle sue opere in commercio.

Quando nella presentazione ho letto che La Matriarca era stato paragonato ai Buddenbrook di Thomas Mann, diciamo che gli auspici per me non erano dei migliori, visto che una ventina di anni orsono li dovetti studiare all’università per un esame di letteratura tedesca e li trovai noiosi al punto da rammentare ormai solo quell’impressione e nulla della trama.

La prefazione dell’autrice non ha fatto altro che accrescere i miei timori, annunciando una famiglia numerosa con un’esorbitante quantità di zie, cugini e prozii. Ho cercato di essere ottimista confidando nel tono scanzonato e allegro promesso dalla presentazione e nelle rassicurazioni di G.B. Stern secondo la quale sarebbe stato possibile comprendere la storia anche non riuscendo a seguire le descrizioni dei personaggi nel primo capitolo, ma il risultato è stato Bittersweet, agrodolce, come il nome della collana in cui la casa editrice Sonzogno ha inserito il libro.

Mi affascinano gli alberi genealogici, ma questo non è il mio e benché a G.B. Stern sarà risultato probabilmente semplice ispirarsi alla storia della sua famiglia di ebrei cosmopoliti e non praticanti in quanto vicende a lei già note, il risultato espositivo non è all’altezza delle mie aspettative. La confusionaria ridda di personaggi straborda ben oltre il primo capitolo, rendendo difficile memorizzare gran parte dei nomi, dei legami di parentela e delle vicissitudini dei singoli individui.

Riassumendo, la storia si dipana tra il 1805 e la fine degli anni Venti del Ventesimo secolo. Forse perché scritto da una donna, in questo romanzo viene dato grande risalto alle figure femminili, a partire dalla capostipite Babette Weinberg che viveva a Bratislava. Babette sposa il commerciante Simon Rakonitz e Rakonitz diventerà il cognome del clan. Babette si trasferirà prima a Vienna e in seguito a Parigi.

Babette è la nonna della matriarca Anastasia che andrà a vivere a Londra per sfuggire all’assedio di Parigi del 1870. Anastasia è una donna dispotica che vizia i figli maschi e maltratta o ignora le figlie femmine. Rimasta vedova, si fa mantenere dai fratelli, dediti al redditizio commercio di pietre preziose. Spende e spande come se non ci fosse un domani. Viene definita generosa perché è sempre pronta ad aiutare il prossimo. Ma può definirsi tale una generosità che attinge al denaro altrui?

Come se non bastasse, la Matriarca è invadente e vorrebbe pianificare i matrimoni di tutti i familiari, obbligandoli poi a vivere con lei nella sua enorme casa. La cosa peggiore è che quasi sempre riesce ad attuare i suoi perversi piani, grazie alla sudditanza psicologica che esercita nei confronti dei parenti.

Lei però ha fatto sempre di testa sua e ha sposato un cugino. A dire il vero il clan Rakonitz è spesso ricorso ai matrimoni tra consanguinei e il risultato è un eterno ripresentarsi dei cognomi Czelovar, Bettelheim e Rakonitz. Fortunatamente c’è anche chi ha guardato oltre, scegliendosi un partner al di fuori della cerchia familiare, come il padre di Toni Rakonitz, nipote di Anastasia e futura nuova Matriarca. La povera Susie Lake è stata però costretta a vivere per anni nella casa di sua suocera, vittima di un marito succube della propria madre che non voleva lasciarlo andare via.

Nel 1910 l’opulenta famiglia Rakonitz cade in disgrazia a causa di un investimento sbagliato nelle miniere birmane e varie donne della nuova generazione iniziano a lavorare. Tra le protagoniste di questa gradita ventata di modernità c’è la giovane Toni che in breve tempo diventa un’affermata agente di commercio nel settore moda per poi riuscire a coronare il suo sogno di diventare una stilista e aprire il proprio atelier.

Contrariamente a molti romanzi che catturano immediatamente l’attenzione del lettore per poi perdersi strada facendo in inutili divagazioni e finali aperti o comunque non soddisfacenti, La Matriarca esordisce in sordina, con un confusionario guazzabuglio di personaggi, per poi acquisire vigore negli ultimi capitoli con la love story tra i cugini Danny e Toni che in realtà si chiamano Daniel Maitland e Antoinette Rakonitz.

Danny vorrebbe sposare Toni e fuggire con lei lontano dal clan Rakonitz e soprattutto dall’ingombrante nonna Anastasia. Toni ama Danny, ma non vuole commettere lo stesso errore della Matriarca che ha dato vita a una progenie di deboli sposandosi con un cugino. Quando Danny scopre che la sua defunta madre Rakonitz in realtà lo aveva adottato, sembrano non esserci più impedimenti, ma alla fine è lui stesso a fuggire da Toni perché si rende conto che è una dispotica manipolatrice come la Matriarca. Un finale agrodolce, ma positivamente spiazzante.

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