Fiore di fulmine di Vanessa Roggeri (2015)

Inizio folgorante, ma la scintilla si spegne a Cagliari

Dopo l’entusiasmo per Il cuore selvatico del ginepro, nutrivo grandi aspettative per il secondo romanzo dell’autrice. Il titolo suggestivo c’era, l’immagine di copertina con tanto di donna dagli indumenti vagamente in stile tradizionale sardo anche e l’intrigante sinossi alludeva a un’altra credenza isolana, quella dei bidemortos, cioè coloro che vedono i morti.

Fiore di fulmine di Vanessa Roggeri - bestseller cover

La prima parte del libro, che ho molto apprezzato, è ambientata tra il villaggio minerario di Monte Narba e il paese di San Vito, a pochi chilometri dal luogo in cui mio padre è nato e cresciuto, ma poi anche stavolta con mia grande delusione la scena si sposta a Cagliari, città natale della scrittrice, di cui io praticamente conosco solo il porto e i suoi collegamenti marittimi con il continente.

Le vicende narrate si sviluppano nell’arco di un decennio, tra il 1899 e il 1909. La protagonista Nora Musa ha undici anni quando il padre falegname muore in miniera. Un giorno la ragazza (bambina secondo l’autrice) ancora in preda al dolore per la scomparsa del genitore, invece di rifugiarsi in casa va incontro al temporale e un fulmine la colpisce in pieno. Tutti la credono morta, ma quando è già nella bara il becchino del cimitero di San Vito si accorge che Nora è viva o meglio rediviva, visto che persino il medico di Monte Narba ne aveva constatato il decesso. Nora è resuscitata, ma non è più quella di prima: dai suoi occhi non sgorgano lacrime, il suo corpo è freddo come quello di un defunto e il fulmine l’ha marchiata per sempre con una cicatrice che sembra un’infiorescenza rossastra in rilievo che parte dalla base del collo e arriva al piede dopo essersi snodata su tutto il lato sinistro del suo corpo. Nora inizia a vedere i morti e tanto basta per convincere sua madre Luigia, manipolata dalla cugina Teresa, ad abbandonare la figlia in un orfanotrofio gestito dalle suore in cui Nora trascorrerà nove lunghi anni prima di essere inviata a lavorare come domestica.

Il cuore selvatico del ginepro smascherava la pericolosa suggestione delle superstizioni, ma in Fiore di fulmine l’autrice compie una clamorosa inversione di rotta e non smentisce mai la veridicità delle visioni di Nora.

La nuova padrona ogni venerdì sera insieme ad alcuni ospiti prende parte a misteriose riunioni in una stanza preclusa alla servitù… A cosa ho pensato? A una seduta spiritica e ho indovinato! Troppo prevedibile!

Volete un altro cliché? Nora si innamora ricambiata di uno dei “signorini”, Giaime, che essendo anche lui orfano vive con sua zia Donna Trinez. Ad accomunare i due giovani, oltre alla perdita dei genitori (Luigia è morta un paio di anni dopo aver spedito Nora in orfanotrofio) ci pensano anche le menomazioni: da una parte il fiore di fulmine della serva, dall’altra il ginocchio lesionato da una caduta da cavallo che costringe il ricco rampollo a ricorrere al costante appoggio di un bastone.

Per non farvi mancare nulla, aggiungete una malevola governante invidiosa della nuova domestica e un padrone di casa (il secondo marito di Donna Trinez) violentatore e quasi omicida.

Nora ha visto il fantasma di Rosa, la figlia diciassettenne di Donna Trinez e del suo primo marito, morta suicida tre anni prima. La viscontessa conosce la storia di Nora e dei suoi poteri e ora ha bisogno del suo aiuto. Vuole sapere perché la figlia si è tolta la vita. Nora non delude la padrona e le rivela che il patrigno aveva abusato di Rosa.

Messi alle strette, con Nora tutti confessano i loro misfatti, come con Jessica Fletcher della serie La signora in giallo… Ovviamente, per aggiungere dramma al dramma, il professor Mariano, marito di Donna Trinez, tenta di uccidere la ficcanaso Nora che però viene prontamente salvata dal soffocamento dalla respirazione bocca a bocca di Giaime.

La governante Palmira sapeva ogni cosa sin dall’inizio, ma aveva ritenuto non opportuno turbare la tanto idolatrata padrona che però reagisce alla sua ammissione cacciandola seduta stante.

Sono rimasta delusa quando Donna Trinez sceglie di non denunciare il marito, limitandosi invece a lasciare la casa di lui per trasferirsi in una propria tenuta insieme ai due nipoti e al fratello.

Nora viene invitata a seguirla, ma non come domestica, bensì a capo del laboratorio di tessitura e ricamo che ha intenzione di creare ripristinando l’attività di produzione di sete pregiate del suo primo marito.

Poche tradizioni, poca Sardegna in questo libro nonostante l’ambientazione. Sento che la parte cagliaritana di Fiore di fulmine, togliendo i cenni descrittivi della città, avrebbe potuto svolgersi praticamente ovunque e sinceramente avrei preferito che Nora sposasse Antioco, il bel neviere di Aritzo moro e spavaldo.

Errori

“fichi d’india” invece di “fichi d’India” pag. 79

“tomento” invece di “tormento” pag. 97

Voto: 3 su 5

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