Canne al vento di Grazia Deledda (1913)

Un romanzo da premio Nobel

Nel 1926, la scrittrice sarda Grazia Deledda vince il Nobel per la letteratura grazie al romanzo Canne al vento, pubblicato nel 1913, prima a puntate e poi in volume.

Efix è il fedele servo delle sorelle Pintor e per loro coltiva un poderetto, ultimo terreno ancora di proprietà di questa nobile famiglia caduta in disgrazia, i cui antenati erano stati baroni di Galte.

Sin dalla prima pagina, la Sardegna emerge prepotentemente come parte integrante del romanzo, con le sue siepi di fichi d’India e le coltivazioni di mandorli, a cui si affiancano le credenze di Efix, parimenti intrise di cristianesimo e reminiscenze pagane.

La monotona quotidianità di Efix e delle sue padrone, viene scossa dall’arrivo di un telegramma del giovane Giacinto, nipote di queste ultime.

Tale notizia basta per riportare la mente del servo al florido passato dei Pintor, bruscamente interrotto dalla morte di donna Cristina. Don Zame, rimasto vedovo, “tiene chiuse dentro casa come schiave le quattro ragazze in attesa di mariti degni di loro. E come schiave esse dovevano lavorare, fare il pane, tessere, cucire, cucinare, saper custodire la loro roba: e soprattutto, non dovevano sollevar gli occhi davanti agli uomini, né permettersi di pensare ad uno che non fosse destinato per loro sposo. Ma gli anni passavano e lo sposo non veniva. E più le figlie invecchiavano più don Zame pretendeva da loro una costante severità di costumi. Guai se le vedeva affacciate alle finestre verso il vicolo dietro la casa, o se uscivano senza suo permesso. Le schiaffeggiava coprendole d’improperi, e minacciava di morte i giovani che passavano due volte di seguito nel vicolo.”

Donna Lia, la terza delle figlie, una notte fugge di casa, disonorando il padre e l’intera famiglia. Una mattina, don Zame viene trovato morto sul ponte vicino al paese. Lia si sposa con un commerciante di bestiame e si stabilisce con lui a Civitavecchia, dove la coppia ha un figlio. Le sorelle non le perdonano nemmeno questo nuovo errore, il matrimonio con un plebeo, e continuano a non rispondere alle sue lettere.

Crescendo, Giacinto inizia a scrivere alle zie ogni anno per Pasqua e per Natale. Passa il tempo e prima muore il padre e poi la madre. Rimasto orfano, Giacinto esprime il desiderio di trasferirsi da loro e trovare un nuovo lavoro, perché l’impiego all’Ufficio della Dogana non è di suo gradimento. Nel telegramma, il giovane annuncia il suo arrivo di lì a pochi giorni, ma le tre dame Pintor attendono invano il nipote per settimane.

Noemi è sola in casa quando Giacinto bussa al portone. È biondo, porta i baffi e ha gli occhi di un azzurro verdognolo. Con sé ha una bicicletta a cui ha legato una valigia. Ha intenzione di recarsi a Nuoro, dove l’amministratore di un mulino a vapore, amico di suo padre, gli ha promesso un lavoro.

Efix accompagna il giovane alla festa di Nostra Signora del Rimedio per fargli conoscere Ester e Ruth. Il bel forestiero riscuote un immediato successo e di lui si invaghiscono seduta stante sia Natòlia che Grixenda, rispettivamente la serva del prete e la nipote di una vicina di casa delle dame Pintor. Grixenda ha la meglio e Giacinto la vuole sposare, ma le zie non sono d’accordo e anche Efix cerca di fargli cambiare idea perché la ragazza è orfana e povera.

Il tempo passa e Giacinto spende a più non posso, bevendo vino con don Predu (il cugino ricco delle zie) e giocando d’azzardo con il Milese (il commerciante che ha fatto fortuna in paese). In preda alla malaria, il giovane confessa al servo Efix di aver perso il lavoro alla Dogana per non aver versato, ma giocato e perso, i soldi di un capitano di porto. Giacinto è dunque uno spregevole vizioso! Continua a giocare e per giustificarsi con Efix gli dice che giocando tante volte si guadagna e lui vuole guadagnare per le sue zie. A zappare lo metterei io il damerino! Come se non bastasse, è già in debito con zia Kallina, l’usuraia del paese. Si è fatto firmare una cambiale da don Predu, che spera di impossessarsi del poderetto delle cugine, e in un’altra ha persino falsificato la firma di sua zia Ester! Infame traditore, parassita e ladro! Invidioso dei ricchi, ma non vuole alzare un dito! Gli piace fare la bella vita a spese degli altri! Che le fiamme dell’inferno in terra divorino la feccia umana come lui! Il rogo ci vorrebbe!

Se Giacinto è una carogna, Efix è invece uno stolto! Anno dopo anno, le sue padrone trovano sempre scuse per non pagargli il dovuto, ma lui chiede denaro in prestito a zia Kallina e resta al loro servizio come un cagnolino fedele o per meglio dire uno zerbino! Che rabbia mi fa! Come si può essere così idioti?

Arriva luglio e Giacinto si è ormai ridotto a fare il servo del Milese che lo manda in giro per gli acquisti. Sua zia Noemi si è invece segretamente innamorata di lui, ma promette alla nonna di Grixenda di parlare con il nipote per convincerlo a sposare la ragazza. I propositi della nobildonna vengono tuttavia stravolti da un’ingiunzione di pagamento in cui Caterina Carta chiede a Ester Pintor la restituzione di duemilaseicento lire entro cinque giorni. La firma è falsa. Ester non è tenuta a saldare il debito e Giacinto finirà in prigione. A me pare cosa buona e giusta e a Noemi pure, ma Ester in perfetto spirito cristiano preferirebbe pagare, anche a costo di dover poi chiedere l’elemosina! Ma così quando imparerà a comportarsi quel giovinastro da strapazzo?

Ester decide di chiedere una proroga a Kallina e Noemi cerca qualcuno che vada a chiamare Efix, ma l’unico a passare di lì è don Predu. In preda alla disperazione, la donna racconta tutto all’odiato cugino che con sgomento si accorge che donna Ruth, seduta immobile, è in realtà appena morta di crepacuore.

Noemi ordina a Efix di trovare Giacinto per dirgli di non tornare più in paese. Il giovane, già al corrente del decesso della zia Ruth, si è trattenuto a Oliena. Ha saputo inoltre che è stato Efix a uccidere suo nonno don Zame tanti anni prima e, incalzato dai rimbrotti del servo, lo aggredisce. Lui, Giacinto, avrà pure sbagliato, ma è giovane e può imparare! Così si difende l’insolente recidivo! Miserabile svergognato! Efix, che è un assassino, dovrebbe comprenderlo e non condannarlo! Assurdo! Il servo ha tolto la vita al padrone solo per pura autodifesa e poi, di boriosi maschilisti come il caro nonnino, il mondo può farne tranquillamente a meno! Ma come può comprenderlo Giacintino bello, se è fatto della stessa pasta? Lui che proibisce a Grixenda di uscire di casa e lavorare, costringendo la nonna della ragazza a tribolare anche per lei?

Efix rivela a Giacinto i sentimenti (non ricambiati) che nutriva per donna Lia e di come lei se ne fosse servita per fuggire. Approfittatrice. Vittima del padre e carnefice del servo. Una volta compreso il ruolo di Efix, don Zame lo aveva aggredito, ma era stato lui a perdere la vita. Non aveva confessato il delitto solo per poter restare accanto alle altre sorelle e provvedere a loro. Stolto d’un Efix, condannato dal suo senso di colpa! Servo per sempre di zitelle che non potrebbero vivere senza di lui, ma che si sentono superiori in virtù della loro nobiltà! Inconcepibile!

Pare tutto così arcaico, o forse no? Non viviamo in fondo in una società in cui, a oltre cent’anni di distanza dal romanzo deleddiano, il popolino compiange la dipartita dell’anziana sovrana di un altro Paese, una monarca su cui grava il sospetto, ovviamente mai provato, di aver ordinato il prematuro eterno riposo della nuora, vittima tra l’altro dell’infedeltà del consorte che ora siede sul trono che fu della madre insieme all’amante di un tempo, ormai legittimata dal matrimonio? Pare assurdo, eppure di Efix è ancora pieno il mondo! Ma foss’anche la regina stata una santa, che senso ha il perdurare stesso dell’esistenza di monarchie e titoli nobiliari?

Dopo lo scontro con Efix, Giacinto si reca finalmente a Nuoro e trova un lavoro. Ester però ha ipotecato sia il poderetto che la casa in cambio di tre mesi di proroga da Kallina. Efix spera che Giacinto riesca a pagare, ma don Predu l’ha visto con le scarpe rotte e sa che ha venduto pure la bicicletta. Il servo ora dovrebbe convincere le sue padrone a vendere il terreno a don Predu che salderà il debito e lascerà loro la casa. Efix accetta di parlare con le dame, ma in cambio gli chiede che sposi donna Noemi. Con don Predu, le sue padrone avrebbero un avvenire assicurato. Ester accetta di vendere il poderetto, saldando così la cambiale. Efix lo coltiva a mezzadria e consegna la sua porzione di raccolto alle antiche padrone.

In primavera, a quasi un anno dall’arrivo in Sardegna di Giacinto, il quarantottenne don Predu decide finalmente di chiedere la mano di Noemi, che avrà circa trentacinque anni e che sostiene di aver sempre amato. Prima della richiesta ufficiale, invia però Efix a sondare il terreno e grande è la delusione del servo di fronte al rifiuto della donna.

Uscito dalla casa delle sorelle Pintor, Efix viene chiamato al capezzale della moribonda zia Pottoi che lo supplica di andare da Giacinto per ricordargli che ha promesso di sposare sua nipote. Ed Efix ovviamente va, sempre al servizio di tutti meno che di se stesso. Cammina per due giorni fino a Nuoro.

Giacinto lavora al mulino, dove pesa la farina, ma non vuole sposare Grixenda perché sente di doversi prima sdebitare con le zie. Efix cerca di convincerlo dicendogli che se sua zia Noemi non accetta di sposare don Predu è per colpa sua. Il giovane ammette di essersi accorto dei sentimenti della zia nei suoi confronti e di essere andato via perché anche lui provava lo stesso per lei.

Le parole del servo convincono Giacinto a sposare Grixenda ed Efix è pronto a espiare i suoi peccati. Davanti a una chiesetta conosce un cieco a cui è appena morto il compagno con cui mendicava e decide di unirsi a lui. No, Efix, perché? Il senso di colpa che ti ha rovinato la vita è il tuo vero peccato e lo spasmodico fervore religioso la tua rovina. La verità è che sei un masochista, sempre pronto a umiliarti, flagellarti ed ergerti a martire. Che delusione! Il vero protagonista del romanzo che si riduce a questo!

Per alcuni mesi Efix accompagna il giovane cieco di chiesa in chiesa, da un paese all’altro, rimanendo deluso dai litigi e dall’invidia da cui i mendicanti non sono certo immuni. Un giorno, il suo compagno Istène arriva a smascherare un finto malato che sta riscuotendo un grande successo, scatenando l’ira dell’anziano cieco che è con lui. Durante la zuffa, il falso malato fa perdere le proprie tracce e così ora Efix ha ben due ciechi sul groppone.

Una notte, mentre si è assopito, il vecchio cieco lo alleggerisce di tutto il denaro e fugge, ma Efix è contento di avere una persona in meno a cui badare. Il giovane cieco è invece furibondo, perché lui aveva capito subito che il ladro in realtà ci vedeva. Istène non vuole più Efix al suo fianco perché è uno stupido, e come dargli torto? Ritrovato casualmente il finto cieco, piuttosto se ne va con lui.

Efix è libero di tornare al poderetto, dove apprende dal fratello di Grixenda che la ragazza sposerà finalmente Giacinto. Il servo raggiunge poi la casa delle dame Pintor e Noemi, alla notizia dell’imminente matrimonio di suo nipote, si rassegna e accetta di sposare il cugino.

Efix torna a lavorare al poderetto, ma la sua salute è ormai irrimediabilmente compromessa. Quando le sue condizioni peggiorano, si trascina fino alla casa delle sorelle Pintor e il medico lo invita a mettersi a letto, ma Efix si ostina a restare coricato sulla stuoia perché vuole morire da servo. Assurdo! Fino all’ultimo non si smentisce! Efix, più che un servo sei uno schiavo, schiavo delle tue convinzioni assurde e dell’assoluta mancanza di amor proprio. È per questo che tutti ti maltrattano e nessuno ti rispetta!

Il servo agonizza per giorni su quella stuoia e muore solo, mentre donna Noemi e don Predu si sposano. Che finale crudele! Se non si fosse rovinato la salute con le sue mani, Efix probabilmente avrebbe avuto ancora mezza vita davanti!

Perché Grazia Deledda ha scelto di far crepare il servo? Non c’è forse una vena di classismo in tutto ciò? Ha fatto (assai poco credibilmente) rinsavire quel delinquente recidivo di Giacinto e smosso il cuore del superbo don Predu… E il povero Efix? Non meritava forse una moglie anche lui, una stabilità economica, una vita?

Grazia Deledda ha vinto il premio Nobel per la letteratura nel 1926, ma così sarebbe stato se Mussolini non avesse fermato la candidatura di Matilde Serao per le sue posizioni notoriamente antifasciste?

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