Dopo aver letto La custode del miele e delle api, avevo deciso di prendermi una pausa dai romanzi di Cristina Caboni e così La rilegatrice di storie perdute, di cui avevo ricevuto in regalo una prima edizione con copertina rigida, ha atteso per ben sei anni sulla mia libreria.
La verità è che preferisco i libri tascabili: più economici, meno peso, minor ingombro e soprattutto nessuna sovraccoperta che si sfila in continuazione.
Questo però è un discorso generale riguardante i vari formati. Cosa mi ha tenuta invece lontana dai libri della Caboni? Il ritorno di fiamma tra Angelica Senes e il suo primo amore Nicola, che nel frattempo si è laureato in ingegneria gestionale e ha arricchito il proprio curriculum con un’esperienza come responsabile delle risorse umane a Milano. Una situazione in perfetto stile romance.
La custode del miele e delle api l’avevo apprezzato per altri motivi, soprattutto per l’inserimento di parole in sardo, con la relativa traduzione in italiano all’interno dei dialoghi, le descrizioni paesaggistiche, la presenza del mare e le accurate spiegazioni sul comportamento delle api e la raccolta del miele.
La rilegatrice di storie perdute, al contrario, non è una storia ambientata in Sardegna. Per carità, sono assolutamente consapevole del fatto che uno scrittore o una scrittrice non abbia di certo l’obbligo di scrivere esclusivamente della propria terra, però la Sardegna è un tema che mi sta a cuore da sempre e che amo ritrovare anche in ciò che leggo. È un voler sapere di più sulla metà delle mie origini, sui luoghi delle mie vacanze estive, su un’isola che conosco, ma sicuramente non come chi ci è nato e cresciuto.
Iniziando a leggere La rilegatrice di storie perdute, sono stata piacevolmente sorpresa dalla scoperta che le vicende del libro si svolgono in buona parte a Roma, la città in cui sono nata e nei pressi della quale ho sempre vissuto. A parte la relativa vicinanza geografica, la distanza sociale tra me e i protagonisti è però abissale.
Sofia Bauer è cresciuta con i nonni a Coppedè, un’elegante zona di Roma dall’interessante estro architettonico in cui non ho mai messo piede e di cui non avevo mai sentito parlare.
Il nonno paterno di Sofia è di Monaco di Baviera ed è un professore universitario di letteratura tedesca in pensione. A casa non ha solo una libreria, come i comuni mortali, ma addirittura una biblioteca. Anche i genitori di Sofia sono docenti universitari e vivono in Francia, dove la madre di Sofia è nata.
Una volta conseguita la laurea in conservazione dei beni culturali, con specializzazione in biblioteconomia, Sofia ha lavorato per alcuni anni come bibliotecaria. Ha abbandonato il suo impiego in seguito al matrimonio, anche se non immediatamente. Dopo cinque anni di vita coniugale infelice, la trentaduenne Sofia sente di essersi sposata troppo presto. Ma avevi ventisette anni, bella mia, mica sedici! Volevi forse convolare a nozze a quarant’anni? Il tuo problema è semplicemente quello di aver scelto l’uomo sbagliato, di certo non l’età!
Alberto lavora in uno studio legale, però ha preteso che Sofia rinunciasse al suo impiego in biblioteca. Guadagnava abbastanza per entrambi, così le aveva detto. Io ripeto sempre a mia figlia che una donna non deve mai rinunciare alla propria indipendenza economica.
Alberto sentiva che il lavoro della moglie sottraeva tempo alla loro vita di coppia. Sinceramente non sono riuscita a capire come, visto che immagino che entrambi lavorassero nei cosiddetti classici orari d’ufficio.
I due non hanno figli perché Alberto non ne ha voluti. Sofia non ha nulla da fare e si annoia. Ogni mattina va a correre a Villa Borghese e da Piazza di Spagna può tranquillamente rincasare camminando.
Conosco entrambi i luoghi, ma la mia percezione da romana di provincia è diametralmente opposta a quella di Sofia.
Villa Borghese non mi è mai piaciuta troppo. Non ci andrei da sola. Un grande parco cittadino frequentato da persone di ogni sorta e a tratti solitario. Un luogo in cui il pensiero indugia facilmente sul timore di essere derubati o di subire violenze di altro tipo.
Ho ricordato però anche i venditori ambulanti di rose rosse che importunavano gli innamorati. Se il mio ragazzo degli anni a cavallo tra il liceo e l’università me ne avesse regalata una (o forse l’ha fatto?) chissà come sarebbe arrivata a casa dopo due linee di metro, un treno e un autobus.
Sofia possiede nozioni di legatoria ed è in grado di restaurare libri antichi. Io invece amo solo i libri nuovi e detestavo i volumi scolastici usati già sottolineati, peggio ancora se con la penna invece che con la matita, anche se i peggiori in assoluto erano quelli su cui erano stati adoperati gli evidenziatori. Non mi piacciono nemmeno le pagine ingiallite dal tempo e le copertine scolorite dal sole, ma ho ahimè constatato quanti pochi anni siano bastati a ridurre così i titoli più datati presenti sulla mia libreria.
Dunque, tornando a Sofia, trova finalmente il coraggio di lasciare il marito dopo che le propone di avere un bambino solo per tenerla occupata, mentre lei invece desidera un lavoro.
Nella sfortuna, Sofia è incredibilmente fortunata perché quasi immediatamente inizia una relazione con il trentaseienne Tomaso Leoni, grafologo e cacciatore di libri antichi.
La liaison tra i due è prevedibilissima, sin dall’incontro casuale durante la presentazione di un volume della prima edizione delle Affinità elettive di Goethe. Sofia, desiderosa di vivere un sentimento di tale intensità, ripensa con una certa invidia a come in quell’opera l’amore travolgesse ogni cosa.
Anch’io ho letto Le affinità elettive ma, nonostante la trama avvincente, proprio non riesco a tollerare le storie di infedeltà, ed è di questo che tratta il romanzo in questione, di corna, di persone incapaci di tenere a freno i propri beceri istinti.
Naturalmente, Tomaso e Sofia non condividono solo la passione per i libri antichi, ma anche la provenienza da famiglie benestanti.
Tomaso ha preso il posto del defunto padre nell’agenzia di grafologia forense di cui è socio insieme al patrigno, l’americano Frank Hobart. L’agenzia si trova niente poco di meno che nell’esclusivissima Via dei Condotti, la stessa strada di boutique del lusso che la me sedicenne attraversava con soggezione nel 1999 uscendo dalla stazione della metro nei pressi di Piazza di Spagna durante i sabati con le amiche per andare a mangiare nei fast food di Via del Corso: McDonald’s se avevamo voglia di hamburger oppure Spizzico per i suoi menù con trancio di pizza. Da alcuni anni il McDonald’s è arrivato anche da noi provinciali e adesso qualche volta mio marito, nostra figlia ed io passiamo al McDrive di ritorno dalle gite domenicali.
Sofia ha il nonno tedesco, Tomaso il patrigno statunitense. Sono stranieri, ma di un certo livello e di determinate nazionalità. Gli immigrati di lusso sono expat, non migranti.
Tomaso abita nel centro di Roma, in un palazzo del Settecento in cui aveva già vissuto la nonna e dove tra le altre cose, c’è ancora il suo pianoforte a coda. Ogni dettaglio trasuda opulenza.
Alla fine del libro, la vita di coppia di Sofia e Tomaso sembra procedere a gonfie vele e anche le loro esistenze individuali. Sofia è tornata a lavorare in biblioteca e ha preso in affitto un appartamento, mentre Tomaso è riuscito a salvare la sua agenzia dai debiti lasciati dal patrigno.
La rilegatrice di storie perdute non è però solo una storia del presente, ma anche del passato, quella della nobildonna ottocentesca tedesca Clarice Marianne von Harmel di cui Sofia trova un messaggio nascosto all’interno delle controguardie di un libro dello scrittore Christian Philipp Fohr che voleva restaurare.
Clarice è ricca e nobile, ma resta orfana all’età di sei anni. Deve lasciare il suo castello di Monaco per andare a vivere con gli zii a Vienna. La zia, sorella di sua madre, è buona ma remissiva mentre al marito interessa solo il patrimonio della nipote.
Kurt Vogel è un mercante e, durante una delle sue lunghe assenze, la moglie si lascia completamente irretire da un predicatore intenzionato a derubarla. Krauser rinchiude la bambina in cantina, ma Clarice riesce a rifugiarsi dal rilegatore Frederik Schmidt che le insegna il mestiere.
Una volta tornato a casa, Vogel caccia Krauser e la sua parente Dava, e riprende con sé la nipote. Clarice prosegue tuttavia il suo apprendistato notturno in gran segreto.
Divenuta ormai una fanciulla, lo zio non vede l’ora di darla in moglie a un giovane manovrabile. Vogel non ha scrupoli e sa bene che il prescelto è un donnaiolo.
L’arrivo di August a Vienna spariglia le carte. L’ex cognato di Vogel, fratello della prima moglie di quest’ultimo, si invaghisce di Clarice e la salva dal matrimonio combinato organizzato dallo zio uccidendo il potenziale rivale. Nessuno sospetta di lui, ma sposando August, Clarice passa di male in peggio perché suo marito è un uomo estremamente violento.
Clarice chiede aiuto al rilegatore, che per lei è come un secondo padre, e quest’ultimo riesce a farla fuggire in Italia al seguito di una baronessa e delle sue accompagnatrici in partenza per il Grand Tour.
Arrivata a Roma, Clarice decide di restare e aprire una legatoria. Qui conosce il connazionale Christian Philipp Fohr, anche lui sposato e vittima di un matrimonio di convenienza, e i due diventano amanti.
Un giorno però arriva August, intenzionato a riprendersi la moglie. Lo scrittore lo affronta e i due cadono nel Tevere. Viene ritrovato un corpo e identificato come quello di Fohr, finché Sofia duecento anni dopo con l’aiuto di Tomaso recupera tutti i messaggi di Clarice e scopre così che i due amanti avevano scritto un libro insieme, cambiato i loro cognomi assumendo quello del rilegatore Schmidt ed erano andati a vivere a Londra dove avevano avuto sette figli.
Ok, finalmente posso riprendere fiato. Cos’altro aggiungere? Senz’altro meglio non nascere ricchi se poi ti devono capitare le disgrazie di Clarice. Non finivano più! Ecco, direi che è stata calcata un po’ troppo la mano, e per giunta il tutto era inframmezzato dai capitoli contemporanei di Sofia e Tomaso che non facevano che dilatare i tempi d’attesa. Sembrava una fiction in costume d’altri tempi, quando nelle case non c’era internet e bisognava spasmodicamente attendere un’intera settimana per guardare l’episodio successivo in TV.
Cosa ho apprezzato di questo libro? Ritrovare luoghi a me noti, come Roma, Monaco, Vienna e Londra, ma fra tutti soprattutto Roma e Vienna. E poi le parole in tedesco che hanno rievocato i miei studi universitari.
Le citazioni letterarie all’inizio di ogni capitolo, invece, le avrei evitate tranquillamente, così come gli eccessivi rimandi alle opere dell’immaginario Christian Philipp Fohr. Questione di gusti personali. Preferisco i romanzi alla filosofia, anche se condivido assolutamente l’importante messaggio di ribellarsi ai soprusi subiti e non lasciarsi annullare dal proprio partner. Sono inoltre presenti alcuni refusi come “ingesso principale” invece di “ingresso principale” o “sui zampilli” al posto di “sugli zampilli” che mi auguro siano stati corretti nelle edizioni successive a quella in mio possesso.
Voto finale 3 su 5. La rilegatrice di storie perdute è stato un libro piacevole da leggere in vacanza, in Sardegna ovviamente.
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